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L’età Contemporanea (dal 1945 al 2000)

L'età Contemporanea (secolo XX 1945-2000)

In campo amministrativo il filo rosso che spesso in Emilia ricongiunge le esperienze del secondo dopoguerra con quelle democratiche e socialiste di inizio Novecento si conferma ben presente anche a Castenaso, e anzi proprio qui più forte e autentico che altrove. A Castenaso, infatti, il sindaco della Liberazione, poi riconfermato alla guida dell’amministrazione fino al 1960, fu esponente storico del Partito socialista italiano, a livello locale: Pietro Tosarelli.

Nato nel 1886, Tosarelli in gioventù aveva contribuito ad animare l’esperienza della prima cooperativa agricola di Castenaso, costituitasi nel 1907, e poi quella di numerose leghe sindacali, sorte soprattutto in ambito agricolo. Successivamente, egli ricoprì la carica di assessore nella prima giunta socialista di Castenaso, quella eletta nell’ottobre 1920 (il sindaco era Raffaele Bassi) ed estromessa nel 1922 dalla prepotente ascesa del fascismo.

Il figlio Bruno militante comunista, come abbiamo detto, mori’ durante la resistenza. Per quella che era stata la sua storia personale e familiare, nella primavera 1945 il locale Comitato di liberazione nazionale individuò proprio in Pietro Tosarelli la persona giusta per traghettare Castenaso dalle macerie lasciate dal fascismo e dalla guerra verso quell’Italia democratica e repubblicana a cui si guardava con il cuore pieno di speranza. Tosarelli era insomma la testimonianza vivente di quel sottile filo che aveva unito donne e uomini di Castenaso durante tutto il ventennio, dalla drammatica uscita dalla prima guerra mondiale fino al biennio resistenziale; uomini e donne che avevano proceduto «in direzione ostinata e contraria», gettando le basi della rinascita democratica del Comune.

In realtà, l’esperto Tosarelli sarebbe stato riconfermato alla guida dell’amministrazione castenasese per ben tre mandati (in seguito alle elezioni amministrative del 1946, 1951 e 1956) rimanendo in carica per quindici anni: un arco di tempo nel quale la sua piccola città, e l’Italia intera, passarono dalla ricostruzione al miracolo economico.

A pochi mesi dalla Liberazione, nell’ottobre 1945, la giunta Tosarelli constatava “che, per le vaste distruzioni operate dai militari tedeschi ai beni pubblici e privati del Comune, nonche’ agli uffici, agli archivi, agli arredamenti di tutti i servizi comunali non è possibile, per il momento, stabilire con esattezza gli oneri del Comune e valutare anche i crediti.” Si rimandava questa contabilità all’esercizio 1946, solo allora infatti sarebbe stato possibile accertare compiutamente «i bisogni e le possibilità comunali». Si deliberava, per il momento, la costituzione di una commissione comunale incaricata di revisionare l’applicazione dei tributi comunali, con l’obiettivo di arrivare a un progressivo criterio di progressivita’ nella tassazione e dunque di equita’ fiscale.

L’amministrazione creo’ anche un comitato comunale per le riparazioni edilizie con il compito di raccogliere le dichiarazioni da parte dei privati per i danni a beni immobili e mobili, subiti sia a seguito dei bombardamenti che per i furti dei tedeschi. La macchina della ricostruzione era in realtà complessa perché intervenivano vari soggetti pubblici, oltre infatti ai comuni il principale protagonista era il genio civile che però non poteva fare a meno dell’aiuto delle amministrazioni locali in un periodo di cosi’ grandi difficolta’. In certi casi interveniva in aiuto anche l’agenzia delle Nazioni Unite Unrra (United nations relief and rehabilitation administration), che in Italia svolse un ruolo importante tra il 1946 e il 1947 attraverso l’istituto Casas (Comitato amministrativo soccorso ai senzatetto).

L’amministrazione comunale si attivò anche per le opere pubbliche danneggiate, in particolare la sede comunale e gli istituti scolastici. Le prime ricognizioni sul palazzo municipale risalgono al maggio del 1945, ma i lavori per il ritorno alla normalità andarono avanti ancora per diversi anni.

Si giunse al 2 Giugno 1946 ed al referendum per la repubblica. A Castenaso furono 2.745 voti per la repubblica e 534 per la monarchia.

L’amministrazione comunale nel 1946-47 deliberava – concedendo qualcosa a una certa retorica – un «piano quinquennale dei lavori pubblici»: “La giunta municipale in ossequio alle promesse fatte alla popolazione sia nel momento della lotta per la liberazione come nell’agone elettorale ed al fine di portare il nostro Comune alla pari con gli altri dotando degli indispensabili servizi la popolazione, unanime delibera approvare il seguente piano di lavori pubblici da eseguire durante il quinquennio prossimo in aggiunta a quelli di ricostruzione che sono compiuti dallo Stato.”

La situazione dei fabbricati di Castenaso al 31 dicembre 1947 distrutti o danneggiati era:
n. (%) Totale n.
Capoluogo 148 (75%) 197
Frazione Madonna 36 (21%) 172
Veduro 15 (31%) 48
Fiesso 28 (38%) 253
Villanova 14 (26%) 158
Marano 89 (27%) 333
Totale 330 (28,4%) 1.161

La ricostruzione massiva cui si darà corso a partire dal 1948 di fatto imposterà lo sviluppo urbanistico per i decenni successivi. Il piano d’intervento (solo parzialmente realizzato) elaborato dagli ingegneri Giorgio Pizzighini e Bruno Bottau si impostava, con una certa preveggenza, su alcuni cambiamenti dell’assetto urbanistico, che miglioravano l’accesso alla stazione ferroviaria, deviavano il traffico della strada Bologna-Ravenna fuori dal centro abitato e in generale permettevano la ricostruzione di quasi tutti gli edifici distrutti nelle forme originarie, con l’unica limitazione per fabbricati agricoli in prossimità del centro urbano. L’intenzione era quella di favorire una sostanziale urbanizzazione dei centri abitati lasciando all’agricoltura le zone più periferiche.

Nello stesso tempo, la giunta Tosarelli decideva di aprire uno «spaccio carni», in considerazione degli «esosi» prezzi applicati dagli esercenti. L’iniziativa venne affidata alla locale cooperativa di consumo e il prezzo delle carni sarebbe stato fissato, di volta in volta, dal sindaco in concerto con la cooperative e il veterinario comunale.

Appena finita la guerra ripresero anche le attivita’ imprenditoriali: gia’ il 2 luglio 1945 fu costituita la Cooperativa Muratori ed affini con sede a Castenaso con 9 soci fondatori. Nonostante gli scarsi mezzi tecnici e finanziari (ai primi soci che ne fecero parte era richiesto che fossero già autonomamente in possesso dell’attrezzatura necessaria per il lavoro), il primo anno di attività si chiuse con un giro di affari che superava i 15 milioni di lire.

I primi lavori furono quelli della ricostruzione del Comune di Castenaso, particolarmente colpito dalla guerra in quanto i tedeschi, nell’ultima fase della guerra, avevano smantellato la maggior parte dei coperti per realizzare fortificazioni difensive e le scuole frazionali di Madonna e di Fiesso. Nel 1947 si operò la riedificazione del Mulino di Castenaso e nel 1948 costruì la propria sede sociale, col lavoro gratuito e volontario dei propri sessanta soci.

Altre cooperative sorsero al termine della guerra:
– cooperativa di consumo del popolo del comune di Castenaso a rl – 1945 con 1^ presidente Tosarelli Pietro, che raggiunse in breve tempo i 711 soci. Lo spaccio (n.1) riapre il 6 Luglio 1945 negli stessi locali in via S. Vitale 52, oggi via Tosarelli 33 – 45 risparmiati dalla guerra. Lo spaccio del 1945 non era poi tanto diverso di quello del ’21. Dopo l’apertura dello spaccio n. 1 dopo pochi mesi venne aperto un altro spaccio a Fiesso e poi nel ‘46 a Marano e nel ‘51 a Madonna, cui fece seguito nel ‘62 lo spaccio n. 2 all’angolo tra via Nasica e via XXV Aprile;
– cooperativa per lo studio e la cultura fisica ed intellettuale fra lavoratori di
Castenaso srl -1949, con 1^ presidente Tosarelli Pietro;
– cooperativa per la costruzione di case economiche e popolari Nasica sc a rl – 1949;
– Caseificio sociale di Castenaso sc a rl – 1949, poi Consorzio Bolognese Produttori Latte.
E’ da notare come a differenza delle precedenti cooperative dedite quasi tutte ad attivita’ produttive, queste si differenziano essendo, per cosi’ dire coop di servizio (coop di consumo o per l’attivita’ fisica) e se produttive sono incentrate sul tema della ricostruzione post-bellica.

A Castenaso nel novembre 1946 la Federcoop fece un censimento dei beni sottratti alle sei coop chiuse dai fascisti e chiese al governo la restituzione del “maltolto”. Nella provincia i beni assommavano complessivamente a tre miliardi di lire (di allora). Due progetti di legge di iniziativa popolare furono presentati per soddisfare queste richieste; entrambi furono insabbiati tra i meandri della burocrazia parlamentare tra il ‘46 ed il ‘49.

Riguardo la ricostruzione un censimento fatto nell’agosto 1950 dai tecnici del genio civile di Bologna, riassumeva e quantificava i danni di guerra ancora da riparare e che coinvolgevano i beni demaniali come il campanile della chiesa parrocchiale, i beni degli enti locali come strade, scuole e il municipio e i beni di istituzioni pubbliche di beneficenza:
– Danni di guerra ancora da riparare nel territorio comunale di Castenaso al 24 agosto 1950, valori in lire (in euro 2023).
Campanile della Chiesa parrocchiale 8.000.000 (153.400 €)
Muri di sostegno della strada provinciale San Vitale 3.170.000 (60.800 €)
Palestra ginnastica delle scuole del capoluogo 2.900.000 (55.600 €)
Ripristino campo sportivo comunale e colonia elioterapica 2.000.000 (38.350 €)
Aula annessa all’Asilo di Infanzia 750.000 (14.400 €)
Impianti di illuminazione pubblica 1.435.000 (27.500 €)
Mobili ed arredi del Municipio 1.770.000 (33.950 €)
Pozzo tubolare della borgata Stellina 1.830.000 (35.100 €)
Pozzo tubolare della borgata Fossa Marza 1.830.000 (35.100 €)
Massicciata di Via Ca dell’Orbo 5.900.000 (113.100 €)
Ripristino viali alberati 1.300.000 (24.900 €)
Asportazione piante 2.000.000 (38.350 €)
Casa di riposo Giovanni Damiani 18.000.000 (345.150 €)
Totale 50.885.000 (975.700 €)

In questo secondo dopoguerra una parte consistente delle famiglie castenasesi viveva in campagna e lavorava un podere. Di soldi ne giravano pochi e otto persone su dieci per gli acquisti presso la coop di consumo utilizzavano il “credito di banco” segnando su di un “libretto” gli acquisti e pagando successivamente alla riscossione del salario. Gli acquisti poi erano spesso a costo, in base alla disponibilita’ e quasi mai a peso, ci si regolava cosi’ in base alla disponibilita’ monetaria.

Il conflitto aveva avuto un impatto molto pesante sul settore agricolo. Anche la zootecnia era stata seriamente penalizzata dalle vicende belliche: poco dopo la Liberazione un censimento promosso dall’amministrazione comunale mostrò come in circa due anni di occupazione tedesca i capi di bestiame fossero calati di oltre il 90%: al 20-07-1943, bovini 3.447, equini 264, suini 1.251; al 21-04-1945, rispettivamente 248, 49, 79. Le stesse cifre sono riportate in una lettera inviata al Regional Agricultural Office alleato nel quale si chiedeva che a Castenaso fosse assegnato “un equo numero di bovini suini ed equini» per ripopolare le stalle e i risultati furono consistenti, basti pensare che nel 1950 l’imposta sul bestiame ricadeva già su 328 allevatori castenasesi.

Ecco che quindi la ricostruzione materiale doveva affiancarsi con l’assistenza economica che veniva data ai cittadini. Con un processo in parte simile alla ricostruzione urbanistica anche l’assistenza sociale vide partecipare vari istituti e fondi di diversa natura. In un secondo tempo, finita la fase di emergenza, si consolidarono quelle forme assistenziali tipiche del dopoguerra che negli anni definirono il welfare di Castenaso.

Il principale istituto comunale di gestione e di erogazione dei servizi di assistenza sociale fino al 1978 anno della sua soppressione, fu l’Ente Comunale di Assistenza (ECA). Gli ECA erano nati nel 1937 sotto il regime fascista ed avevano lo scopo di sostituire le antiche Congregazioni di carità, create durante il periodo Napoleonico e confermate con poche variazioni sia dopo la restaurazione che dopo l’Unità d’Italia. Per comprendere le possibilità economiche del comune di Castenaso bisogna partire dal fatto che il suo ECA era un ente dotato di scarsa risorse finanziarie in quanto non aveva ereditato alcun patrimonio immobiliare. Non potendo quindi disporre di grandi entrate esterne (c’era solo una piccola rendita annua di 570 lire), i fondi erogati dall’ente erano statali ma venivano indirizzati con una certa autonomia dall’amministrazione comunale. Nei primi mesi dopo la fine della guerra le attivita’ dell’ECA furono finalizzate soprattutto verso i sussidi straordinari per i profughi di guerra e all’assistenza ai poveri locali, tra questi c’erano le famiglie che avevano perso un famigliare in guerra e che dovevano ripartire da una situazione di grave indigenza. Gia’ durante il conflitto l’ECA aveva fornito sussidi ad un certo numero di sfollati.

Un interessante documento del 1946 descrive la situazione alimentare del paese e delle frazioni come “scarsa”, ciononostante la situazione sanitaria della popolazione veniva definita discreta pur contando lo 0,8% di tubercolotici e malati di denutrizione. Si contava inoltre una percentuale del 30% della popolazione di sinistrati e una dell’80% di materiale scolastico distrutto.

Questi erano i principali bisogni della cittadinanza in una situazione di grave emergenza nel 1947.
– Spese di assistenza dell’ECA per il 1947 (valori in lire e in percentuale)
Assistenza in viveri 460.000 (60,5%)
Assistenza indumenti e combustibili 80.000 (10,5%)
Sussidi in denaro 100.000 (13,2%)
Contributi per affitti 70.000 (9,2%)
Ranci per la popolazione 30.000 (3,9%)
Spese varie di assistenza 50.000 (6,5%)
Totale 760.000
Nel 1978 gli ECA vennero aboliti e le loro funzioni passarono direttamente alle amministrazioni comunali.

Tra i progetti di assistenza alla popolazione sviluppati dal comune di Castenaso sono interessanti quelli legati alle colonie marine e montane per i bambini. Le colonie per l’infanzia rappresentano un tipo di intervento sociale spesso sottovalutato dagli storici, infatti quando si parla di welfare locale si intendono soprattutto i servizi direttamente impiantati dalle amministrazioni nel territorio, e non si considerano invece queste iniziative come vere e proprie politiche sociali. Le colonie infatti nell’immediato dopoguerra costituirono un servizio importante per l’infanzia con funzioni curative, in aiuto di bambini con determinate patologie, ma anche con funzioni pedagogiche rilevanti. Far stare insieme i fanciulli anche al di fuori delle attività scolastiche, stimolandoli alle attività ludiche, veniva infatti ritenuto altamente educativo. Inoltre, negli anni in cui il “boom” economico era ancora lontano, queste consentivano anche alle famiglie più indigenti di far fare le vacanze estive ai propri figli.

Le prime colonie di Castenaso nell’immediato dopoguerra furono organizzate direttamente dal comune che ne gestiva in parte le spese. Le colonie si basavano su una condivisione delle spese con i genitori dei bambini, in base alle fasce di reddito e alle patologie dei fanciulli. All’organizzazione delle colonie partecipavano istituzioni religiose, cooperative, istituti parastatali e organi politici.

A mero titolo di cronaca ed allacciandosi agli “stimoli educativi” del paragrafo precedente, si segnala che pochi anni dopo la conclusione della guerra, il tasso di analfabetismo registrato a Castenaso è decisamente contenuto (4,5%), di poco al di sotto al dato medio provinciale (5,7%), ma largamente inferiore al valore medio regionale (8,2%), e soprattutto al valore medio nazionale (12,9%).

La guerra e’ finita ma le disgrazie purtroppo no. Il 9 luglio 1947 l’uscita di fosforo da un’ogiva di una bomba sotto a una catasta di proiettili da mortai provoca alla B&P l’ennesima esplosione. Gli impianti sono distrutti e con loro perdono la vita anche 17 dipendenti fra cui il capofabbrica.

 

La seconda guerra mondiale inferse consistenti danni alle infrastrutture provocando anche l’interruzione del servizio ferroviario. Questo riprese gradualmente ma solo nel 1952 sull’intera tratta. Fu a partire dal 1957 che avvenne poi la reale dieselizzazione della linea con l’acquisto di nove locomotive Diesel-elettriche.

Dal punto di vista edilizio, esauriti gli interventi di emergenza, la cooperativa Muratori ed Affini, si impegnò negli anni ’50, prevalentemente nella costruzione di abitazioni di tipo popolare, contribuendo con oltre 100 alloggi realizzati, al suo riassetto urbanistico. Sempre in quegli anni e nel decennio successivo altre cooperative si affacciano alla ribalta sempre incentrate sulla costruzione (diretta o meno) di case ed alloggi vista la crescente richiesta dovuta all’incremento della popolazione (boom delle nascite anni ‘60).

Per quel che riguarda i servizi in dotazione nelle abitazioni, osserviamo che nel 1951 solamente otto abitazioni su 100 dispongono di acqua potabile tramite acquedotto (molte famiglie possono disporre di acqua potabile solo grazie ad alcuni pozzi); meno del 5% degli alloggi possiede un bagno e oltre un terzo di questi non dispone di energia elettrica. Si tratta di un quadro sensibilmente più critico rispetto al contesto qualitativo provinciale, dove mediamente oltre la metà delle abitazioni occupate dispone di acqua potabile attraverso l’acquedotto, oltre l’80% è servita da energia elettrica e poco meno del 20% per cento ha un bagno al suo interno.

Nel corso degli anni Cinquanta, la situazione abitativa dei cittadini di Castenaso migliora sensibilmente per quel che riguarda il servizio di energia elettrica, mentre sul fronte degli altri servizi permane una condizione di forte arretratezza: quasi il 90% di abitazioni continua ad essere sprovvista di acqua potabile tramite acquedotto, mentre la battaglia contro il freddo (impianto di riscaldamento 11,7%) e per una migliore igiene (bagno 37,9%) e’ lontana dall’essere vinta. Dati che evidenziano per i castenasesi una condizione abitativa decisamente più fragile rispetto alla condizione abitativa media provinciale.

Nel 1951 venendo definitivamente a cessare l’attivita’ del mulino di Castenaso venne li’ costruito un silos per il magazzinaggio. Negli anni ‘50 a Castenaso c’erano oltre agli spacci coop tre rivendite alimentari (Badiali, Bonetti, sorelle Magri) oltre alla coop Acli ed alla stellina il negozio di Giuseppe Marchi.

Nel 1953 maturò una decisione che ebbe il potere di rilanciare l’ istituto di credito di Castenaso (Cassa Rurale ed Artigiana), e cioè il trasferimento dalla storica sede, la canonica di Castenaso, a un edificio posto a Villanova di fronte al Mulino Baviera, area destinata a diventare il fulcro di una zona industriale di ampio spessore e che consenti’ negli anni a venire di aprire svariati uffici periferici.

Il successivo miracolo economico avrebbe completamente trasformato il territorio, le campagne degli ultimi decenni del Novecento appaiono in buona parte differenti da quelle del secondo dopoguerra. Inoltre, la progressiva urbanizzazione sottrasse un crescente numero di ettari coltivabili all’agricoltura. Per questa ragione le coltivazioni furono ridimensionate e finirono per essere meno importanti rispetto agli insediamenti artigianali e industriali.

Il cambiamento fu comune a tutti i paesi. Nel caso e’ possibile individuare tre direttrici principali che raccontano e testimoniano questa rapida evoluzione: la prima riguarda le strutture sociali rurali e dunque la tipologia fondiaria, la seconda il tipo di produzione agricola e le tecniche di coltivazione, il terzo il contesto collaterale di ambito zootecnico e agroalimentare. A Castenaso, per meglio gestire queste trasformazioni fu creato un Comitato comunale per l’agricoltura.

In quei tempi, l’agricoltura castenasese era caratterizzata da una prevalenza di produzioni cerealicole, con una comunque importante presenza di vigneti e di alberi da frutto, ma non era neppure trascurabile la coltivazione della barbabietola da zucchero. Molti di questi prodotti, in particolare l’uva, erano commercializzati nei vicini mercati cittadini, che fungevano da grandi collettori delle produzioni agricole dell’hinterland. Una parte dei cereali, invece, era trasformata in farina in due molini locali, e cioè quello situato a ridosso dell’Idice, in quella strada che oggi ha appunto il nome di «largo Molino», e il molino Baviera, a Villanova. Entrambi sarebbero entrati in crisi negli anni Cinquanta, a seguito della diffusione di strutture piu’ grandi e meglio integrate nella filiera produttiva.

Tra le attività storiche, vi erano la produzione di canapa e l’allevamento dei bachi da seta, abbastanza diffuse nelle campagne di Castenaso, sia a livello di produzioni integrative all’interno di aziende agricole tradizionali, sia come specializzazioni produttive in piccoli opifici. In località Veduro operava la ditta Romolo Zanetti, che lavorava la canapa, il lino e la juta. Tutte queste attività declinarono quasi ovunque in Emilia-Romagna, a seguito dell’introduzione di nuove fibre naturali e artificiali. I maceri furono lasciati interrare, pochi altri furono riconvertiti in vasche idriche per l’irrigazione o in allevamenti ittici.

Il tessuto rurale, nelle campagne a nordest di Bologna era composto prevalentemente da piccoli proprietari, ma anche mezzadri affittuari e lavoratori salariati, cioè braccianti, occupati in alcune aziende agricole più grandi che avevano bisogno di manodopera avventizia. Ma per il resto si registrava una netta prevalenza di famiglie contadine, molto spesso numerose e «allargate», che comprendevano cioè anche nonni, fratelli, zii e altri parenti. Questa dinamica garantiva una certa stabilità sociale, per cui le campagne castenasesi a cavallo tra gli anni Quaranta e Cinquanta furono meno interessate da agitazioni e scioperi come quelli di Molinella o di Budrio, dove il bracciantato mostrava segni di impazienza.

Le sedi delle cooperative muratori, cooperativa di consumo e cooperativa agricola

Anche a Castenaso, del resto, si ebbero quelle lotte sociali e quei grandi scioperi che tra il 1947 e il 1949 caratterizzarono vaste zone padane, e che furono connotati da una unità d’azione fra braccianti, mezzadri e piccoli proprietari. Varie testimonianze confermano le tensioni di quella fase storica, e ricordano come in queste aree fossero soprattutto i mezzadri i più irrequieti, con gli obiettivi di dare alle famiglie la garanzia del fondo, di obbligare i proprietari alla disdetta solo per giusta causa, di costringere gli agrari a investire nelle opere di miglioria.

Il numero di agricoltori si ridusse progressivamente nel corso del secondo Novecento. Lo sviluppo di attività manifatturiere e terziarie portò a un crescente abbandono delle campagne. Inoltre, il ricambio generazionale aveva fatto sì che i pochi agricoltori di questo territorio fossero differenti dai loro padri in termini di cultura agronomica e di saperi tecnico-scientifici per gli studi effettuati che venivano trasferiti all’interno delle aziende modernizzandole. Anche a Castenaso, come nel resto dei comuni italiani, il centro abitato principale intercetta una parte dell’esodo agricolo: la quota di popolazione che abita nei centri passa dal 64% del 1951 all’88,7% del 1991, rimanendo di poco inferiore alla dimensione media percentuale registrata su scala provinciale.

Sul piano delle produzioni agricole e delle tecniche di coltivazione le trasformazioni non furono meno importanti. In particolare si ebbe un ampio e articolato processo di meccanizzazione delle fasi rurali, per cui i trattori rimpiazzarono la forza animale e le mietitrebbie il lavoro umano. Le macchine agricole giunsero nel primo Novecento, ma fu dopo la Seconda guerra mondiale che si ebbe un vero e proprio boom. Man mano che l’ingegneria meccanica produceva trattori ed erpici ulteriormente evoluti, questi furono progressivamente adottati dalle aziende agricole favorendo l’espulsione della forza lavoro dalle campagne.

Rimanendo nel settore agricolo, fra le cooperative che ripresero la propria attività vi era la Cooperativa agricola di Castenaso, fondata nel 1914. Nel 1946, forte di 255 soci, aveva già ripristinato gran parte dei danni bellici, e rimesso in moto le tre principali attività. La prima era quella della fornitura di servizi “a monte” ai soci contadini: in particolare si fornivano loro concimi e si noleggiavano le macchine agricole. Il secondo ambito era la fornitura di simmetrici servizi “a valle” ai medesimi soci, e dunque la commercializzazione dei prodotti da loro coltivati. Il terzo ambito, invece, riguardava la coltivazione di tenute agricole in affitto che dava lavoro ai soci braccianti della cooperativa.

I presidenti che la guidarono negli anni del secondo dopoguerra e del miracolo economico, dovettero confrontarsi con il problema dell’abbandono delle campagne e della meccanizzazione agricola. Nel 1949 la cooperativa aveva a disposizione «una trebbia grande, una gramolatrice Saltarelli, due trebbie, quattro trattori Mercedes, una gramolatrice Ferriani, una pompa per maceri, due aratri, quattro carri attrezzi, un autocarro Dodge, una pigiatrice d’uva, una mieti-legatrice OM, ed infine una ruspa per lavori stradali»; dieci anni dopo il parco delle attrezzature si era ridimensionato, sintomo di una difficolta’ di bilancio e constava di “un camion FIAT, due trebbie, tre trattori Mercedes, una mietilegatrice e due spandiconcime». Nel 1970 questa esperienza ha contribuito a creare l’Alleanza Produttori e Cooperative Agricole: APCA e nel 1992 con altre realta’ costituiva l’attuale società cooperativa Progeo.