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L’età Contemporanea (dal 1789 al 1900)

L'età Contemporanea (secolo XIX 1789-1900)

Nel bolognese (Legazione di Bologna dal 1540) i vari comuni sin dal suo sorgere furono di piccole dimensioni: 300 nel contado, coincidenti per lo piu’ con le varie Parrocchie. Questo fino al 1796 anno in cui in seguito alla conquista napoleonica e la cacciata del papato, avvenne una prima riforma, che ridusse i comuni (cantoni) a soli 65. Per Castenaso i vari comuni limitrofi vennero inglobati nell’attuale assetto nel 1804-5. Marano, Veduro, Villanova e Fiesso sparirono rientrando tutti nell’amministrazione di Castenaso.

All’inizio dell’800 pero’ la provincia venne suddivisa in 22 quartieri e Villanova venne assegnata al quartiere di Idice con tutta la parte est – nord est di Bologna (da Mascarella, S. Donino al Fossolo, Croce del Biacco e S. Lazzaro, Castel de’ Britti e altri), mentre Castenaso, Marano, Veduro, vengono assegnati al quartiere di Budrio con Budrio, Vigorso, Vedrana, Prunaro, Cento, Bagnarola e Granarolo con Viadagola, Quarto inferiore e superiore e anche Galisano (Fossatone). Sempre nel periodo Napoleonico (1804/1805) la provincia, ora Dipartimento del Reno, subisce un nuovo assetto e a Castenaso viene riassegnata Villanova.

La restaurazione dopo la caduta di Napoleone fece mutare il nome alla provincia da dipartimento del Reno a Legazione Apostolica di Bologna, ma non intervenne
sostanzialmente sulla suddivisione territoriale cosa che poi si verifichera’ anche all’unita’ d’Italia con la caduta definitiva dello stato pontificio nel 1870 e la creazione delle province propriamente dette.

Fino alle soglie dell’Ottocento, Castenaso è, come tanti borghi del contado alle porte di Bologna, un abitato agricolo con un insediamento rurale sparso e un piccolo nucleo aggregativo – negli stati delle anime del 1622, conservati presso l’archivio parrocchiale, si apprende che era composto da circa 500 anime – attorno alla confluenza del fiume Idice (o semplicemente “Il fiume”, come è meglio noto a Castenaso), con la “strada maestra di San Vitale” e le altre strade che portavano verso il Ferrarese.

Castenaso rappresento’ fino all’800 uno dei luoghi di villeggiatura piu’ popolare del bolognese, per la sua vicinanza con la citta’ e per essere facilmente raggiungibile sulla direttrice della S. Vitale. L’insediamento rurale quindi è costituito da ville padronali, alcune delle quali sontuose come quella di Gozzadini o la Pederzana, le cui proprietà terriere venivano gestite da coloni, generalmente mezzadri le cui abitazioni sono ancora oggi ben visibili.

Riguardo villa Pederzana (ex Ariosti ora Manaresi) dopo l’acquisto nel 1627, Marcantonio Pederzani trasformò la casa padronale in un vero e proprio palazzo di villeggiatura, realizzando un primo piano interamente abitabile e un sottotetto di servizio con torre piccionaia. Fu costruita un ala adiacente a est, contenente la casa del fattore e una rimessa. Già nel 1632 numerosi pittori affrescavano gli interni dell’edificio, conferendogli la connotazione di palazzo signorile. Successivamente, la villa pervenne al marchese Giovanni Giuseppe Felice Orsi, proprietario dal 1694. Si deve a lui la costruzione dell’ala ovest della villa, simmetrica alla preesistente ala est, in cui si trovava un piccolo ma razionale teatro (distrutto dai bombardamenti della seconda guerra mondiale) e una piccola cappella privata. Nel teatro si tennero importanti rappresentazioni che videro la recita del giovane Prospero Lambertini, poi papa Benedetto XIV.

Le origini della villa voluta dalla famiglia Gozzadini, risalgono alla metà del XVI secolo. La costruzione e’ un notevole esempio di insediamento suburbano di origine cinquecentesca, organizzato secondo i criteri compositivi tipici del “giardino-campagna”, impostato su due assi ortogonali al cui incrocio si situa la villa padronale, circondata dal parco e dai fabbricati rurali di pertinenza. A partire dal XVIII secolo il palazzo fu ampliato sui fianchi ed alzato di un piano con eliminazione della torre colombaia cinquecentesca.

Oggi è un notevole edificio, seppur in stato di completo abbandono, con un pianta molto articolata, costituito da un compatto corpo principale a tre livelli saldato a due corpi più bassi, a doppio livello, disposti ad est e ad ovest rispetto al nucleo centrale.  Al corpo occidentale si articola ortogonalmente, verso nord, una lunga “appendice” sviluppata su due livelli fuori terra.  All’interno l’antico corpo centrale presenta la caratteristica loggia passante completamente affrescata con vedute archeologiche e soffitti affrescati con paesaggi.  In un’altra sala restano invece sei bellissime tempere con quadrature e sfondati architettonici di ispirazione bibienesca datate 1719. >Al piano terreno si conservano altri pregevoli ambienti, caratterizzati dagli originali pavimenti in cotto, dai camini e dalle cornici delle porte.

Tornando ai fatti di quegli anni, a mero titolo di cronaca, e’ da registrare come tra fine ‘700 ed inizio ‘800 vennero intraprese numerose importanti opere idrauliche di sistemazione del territorio bolognese.  Per proteggere la citta’ di Bologna dalle continue inondazioni nel 1776 si decise di convogliare le acque del torrente Savena verso nord-est (allontanandole, in tal modo dall’abitato di Bologna), pur mantenendo il canale di Savena diramazione che entrava in citta’ rifornendola di acqua gia’ dal XII secolo.  Utilizzando l’alveo del Rio Polo il Savena venne dirottando nell’Idice in località Borgatella, al confine col Comune di astenaso. L’incremento delle acque nell’Idice creera’ negli anni a venire non pochi problemi a Castenaso a causa evidentemente della maggior portata creando un aumento delle alluvioni e rotte.

Ad inizio ‘800 poi, la grave rotta dell’Idice a San Pietro Capo Fiume nel 1802 e quella del Quaderna nel 1804, con allagamento della valle di Marmorta e del territorio di Argenta, posero con urgenza il problema della sistemazione idraulica della Bassa bolognese a destra del Reno. Un decreto vicereale di G. Murat del 30 agosto 1813, vigente il regime Napoleonico, approvava il progetto degli ingegneri Conti e Landi, risalente al 1762, che prevedeva di
convogliare i due torrenti nei terreni a sud di Molinella e Argenta, in modo che i loro depositi portassero alla bonifica per colmata degli stessi, mentre le loro acque “chiarificate” dovevano confluire nel torrente Primaro (poi Po di Primaro) a Bastia.

Nel 1814 un nuovo cavo sarà staccato dal corso dell’Idice a quattro chilometri a valle dalla chiusa di Riccardina e verrà diretto a est passando sotto al Palazzo Pepoli di Durazzo (localita’ di Molinella), fino al Passo della Selva.  Tramite la chiusa Roversella l’Idice abbandonerà il vecchio corso verso Codifiume.  I lavori termineranno dopo il ritorno del Governo Pontificio. Il 29 novembre 1816 la nuova deviazione dell’Idice sarà inaugurata solennemente. La Cassa di Colmata dell’Idice avrà un’estensione di circa 6.000 ettari.  Assieme al Cavo Napoleonico essa rappresenta l’affermazione dell’interesse pubblico per le opere idrauliche su fiumi e torrenti arginati e l’assunzione in tutto o in parte delle relative spese da parte dello Stato.

Gli “Atti” (cioè le delibere) del Consiglio comunale, a partire dall’esemplare più antico conservatosi, che è del 17 maggio 1837, consentono di vedere con chiarezza com’era composto e come funzionava un consiglio comunale sotto il potere assoluto pontificio, restaurato dal Congresso di Vienna dopo la definitiva sconfitta di Napoleone, potere caratterizzato dalla più spiccata tendenza conservatrice e rappresentato nel territorio bolognese dal “Cardinale legato” residente a Bologna.

Infatti i membri che componevano anche il Consiglio di una comunità rurale come quella castenasese dell’epoca erano nominati dal governo legatizio tra i sudditi eminenti per posizione economica e culturale (ma anche, ovviamente, per una almeno ipotizzabile lealtà politica al sovrano pontefice), e rinnovati al bisogno di colmare seggi vacanti con una scelta circoscritta a una terna di nomi proposta dai consiglieri stessi; lo stesso avveniva per il “Priore” e per gli “Anziani” che tenevano il ruolo di “presidente” e di “ministri” della comunità. Così, in centri che come questi potevano contare all’epoca su 1.000 – 2.000 abitanti in tutto, il novero di questi consiglieri era in sostanza abbastanza numeroso da rappresentare praticamente tutti i maggiorenti dotati di cultura superiore, di beni e di rendite, lasciando del tutto fuori i più o meno alfabetizzati esponenti delle attività artigiane e la massa pressoché completamente analfabeta degli operai e dei braccianti.

Peraltro il Consiglio del Comune nello Stato pontificio era allora un organismo dalle competenze soltanto amministrative e assolutamente non politiche, che anche a Castenaso si riuniva tre o quattro volte l’anno per occuparsi di fissare i criteri per il “riparto della tassa sul focatico”, cioè della tassa di famiglia (così detta perché imposta appunto a ciascun “focolare”, come sinonimo di “nucleo familiare”) che assicurava le entrate della comunità assieme ai dazi, e di deliberare i bilanci preventivi e i conti consuntivi con cui queste risorse venivano impegnate pressoché esclusivamente nei campi della gestione del territorio (col mantenimento di strade, ponti e argini), dell’assistenza e beneficenza, dell’annona (cioè del mantenimento di un regolare flusso della vendita delle vettovaglie e di scorte alimentari per i periodi di carestia), nonché stipendiando i pochi dipendenti dell’amministrazione comunale, tra cui – quando ce lo si poteva permettere – potevano figurare un medico condotto e un maestro.

Piuttosto salta all’occhio che, essendo lo Stato pontificio pur sempre non soltanto uno stato assoluto, ma anche confessionale, in cui i principi della religione cattolica nella interpretazione del “Papa Re” pervadevano la legislazione a scapito dei diritti individuali come in ogni regime teocratico, e in cui il ceto ecclesiastico era ancora legalmente privilegiato, affinché l’assemblea del Consiglio sia valida vi deve presenziare “il molto reverendo signor arciprete di Castenaso”, che come ogni parroco ne fa parte di diritto, e che prima dell’apertura dei lavori recita “le solite preci”.

Castenaso a quei tempi ebbe illustri personaggi sul suo territorio che si andava arricchendo di varie ville per i soggiorni estivi dei nobili e facoltosi Bolognesi anche per la vicinanza con la citta’. A Madonna di Castenaso vi era una villa di proprieta’ a fine ‘700 del Collegio di Spagna (studentato degli spagnoli) e che fu successivamente incamerata nei beni pubblici del demanio a seguito delle soppressioni napoleoniche delle proprieta’ ecclesiastiche e fu nel 1812 acquistata dal Conte Aldini.  La villa passo’ poi a Giovanni (Juan) Colbran probabilmente a Luglio 1812 e successivamente alla morte di questi, il 2 Aprile 1820, alla figlia, Isabella noto soprano, futura sposa di G. Rossini che aveva conosciuto a Napoli qualche anno prima.

Al matrimonio di Rossini, il 16 marzo 1822, celebrato grazie alla dispensa del cardinale Carlo Opizzoni perché la data rientrava nel tempo di Quaresima, erano presenti solo un dipendente dei Rossini e il personale servitore di Isabella.
I coniugi Rossini qui vissero alcuni anni, dove il Maestro compose opere come Semiramide e Guglielmo Tell. Nel Novembre del 1830 Rossini si trasferi’ definitivamente a Parigi con la moglie che pero’ poi torno’ a Bologna. La soprano continuo’ ad abitare la villa anche dopo la separazione con Rossini del 1837 e vi mori’ nel 1845.

Rimanendo in tema “ecclesiastico” si rammenta come la chiesa di Villanova subi’ pesanti ristrutturazioni nel 1793, quando fu raso al suolo il precedente edificio fin dalle fondamenta. Nel 1796 i lavori vennero sospesi e terminati solo nel 1843. Dal 1849 vi fu un ulteriore restauro, quasi una ricostruzione, su iniziativa del parroco, per la “mala condizione”.  La chiesa fu resa piu’ spaziosa e furono create quattro cappelle laterali. Anche la canonica a sinistra della facciata fu ricostruita cosi’ come fu rifatta la facciata. Il campanile venne ricostruito dalle fondamenta.

[Dai disegni appare come la precedente chiesa avesse un “avancorpo” con tetto a spioventi ed un campanile anteriore a destra. Mentre quella successiva, giunta quasi inalterata fino a noi, ha una facciata che aggetta direttamente sul sagrato ed un campanile posteriore sinistro in unione con la sagrestia ma in effetti staccato dalla chiesa vera e propria. Dagli stessi disegni compare, gia’ da prima del 1849 sul retro della chiesa a sinistra, una piccola cappella tutt’oggi ancora presente. Nda]

A causa dello stato di rovina in cui versava nel 1833, l’attuale chiesa di San Giovanni Battista di Castenaso venne ricostruita tra il 1833 ed il 1838. Nelle fondamenta di questo antico edificio venne trovata una moneta del 1400, possibile terminus post quem (data dopo la quale) si realizzo’ l’edificazione dell’edificio preesistente.

Si giunge cosi’ alla prima guerra d’indipendenza (1848). Dopo la sconfitta dei Piemontesi e l’armistizio di Salasco con l’occupazione della Lombardia, gli Austriaci invadono l’Emilia. Il principe Franz Joachim del Liechtenstein marciò su Modena e Parma per reinstaurare i duchi deposti.  Il tenente maresciallo Franz Ludwig Welden, al comando di un contingente di 7-8000 uomini, con reggimenti di cavalleria e artiglieria, pone il suo quartier generale a Bondeno, al di qua del Po.  Nei giorni seguenti occupa Reggio e Modena e si spinge verso le Legazioni pontificie.
Ferrara è occupata il 2 agosto, viene disarmata la Guardia Civica e fatti prigionieri i duecento soldati svizzeri di presidio.  Il 3 agosto Welden pubblica un proclama, in cui afferma che l’Austria non è in guerra con lo Stato Pontificio, ma che l’esercito imperiale è intervenuto per sedare i tumulti e reprimere le bande. Occupò Bologna che, l’8 agosto 1848, si sollevò e gli austriaci dovettero abbandonarla il giorno seguente (battaglia della Montagnola). Questi moti insurrezionali del ‘48 a Bologna videro anche tre caduti di Castenaso.

Anche il secondo tentativo di sconfiggere gli Austriaci non ebbe seguito e le truppe sabaude rimaste sole dopo cinque giorni di battaglia (20 – 24 Marzo 1849) vennero sconfitte decretando cosi’ la fine complessiva della prima guerra d’indipendenza. Nel frattempo, molte città pontificie di Marche, Romagna ed Emilia avevano aderito alla Repubblica Romana (9 febbraio – 4 Luglio 1849), che aveva esautorato il papa; tra queste, Ancona e Bologna.
La Repubblica Romana dichiarò decaduto il potere temporale della Chiesa. Solo allora Pio IX, dal suo esilio di Gaeta, fece apertamente richiesta di intervento armato da parte degli austriaci nello Stato Pontificio. L’invasione austriaca iniziò il 18 febbraio 1849 con l’occupazione di Ferrara. Il generale austriaco Franz von Wimpffen si diresse
dapprima verso Bologna: gli austriaci ora agivano non più come invasori, ma “in nome del Papa Re”; inoltre egli aveva ai suoi ordini 7000 soldati e 13 cannoni con consistenti rinforzi disponibili dal momento che il Piemonte era stato sconfitto.

L’8 maggio 1849 iniziò l’assalto contro la città di Bologna, difesa da circa 2000 uomini, il cui comandante era il colonnello anconetano Angelo Pichi. A causa della forte resistenza incontrata gli austriaci si fermarono e attesero i rinforzi. Il 14, quando questi arrivarono, le truppe assedianti erano salite a 20.000 uomini con un parco d’assedio che
iniziò un intenso bombardamento che durò 48 ore. Il mattino del 16, una deputazione mandata dal generale Wimpffen fu respinta dal popolo e il bombardamento riprese, così che, alle 14:00, Bologna dovette arrendersi.

Restaurato il potere pontificio vi fu un periodo di apparente calma e fu in questo periodo che avvennero le scoperte archeologiche del Conte Gozzadini con scavi effettuati, tra il 1853 ed il 1856.  La scoperta delle tombe preistoriche avvenne durante lo scavo di un canale divisorio di scolo, in podere “camposanto” nella parrocchia di S. Maria delle Caselle a S. Lazzaro, facente parte della tenuta di Villanova del conte Gozzadini. L’area interessata misuro’ infine 65×27 metri. Le tombe inoltre si trovavano a soli 68/80 cm di profondita’ essendo che, negli anni precedenti, fu effettuato uno sbancamento di 1,5 mt.

Questi ritrovamenti fecero intervenire il priore di S. Lazzaro che con solerzia denuncio’ le attivita’ di scavo, pare non tanto per dovere d’ufficio quanto per dicerie popolari che sostenevano il ritrovamento di pignatte con monete d’oro.  Il Gozzadini comunque avviso’ il presidente e segretario della Commissione Ausiliaria delle Belle Arti
evitando l’intervento delle autorita’ e potendo cosi’ proseguire negli scavi, effettuati tutte a proprie spese, che portarono alla luce complessivamente 193 tombe, 179 ad incenerazione e 14 ad inumazione. Queste tombe vennero datate tra il 900 ed il 600 a.C.

Come abbiamo visto all’inizio del XIX secolo Castenaso acquisì lo statuto di Comune, accorpando alcuni degli ex comuni limitrofi, consacrato con l’istituzione dello stemma del 1852.  Tutto trae origine dal fatto che nel 1851 il legato pontificio cardinal Bedini, in qualità di “Commissario Pontificio Straordinario alle Quattro Legazioni”, quindi con poteri speciali per curare la difficile restaurazione del potere pontificio nei territori bolognese, ferrarese e romagnolo (ma costantemente limitato nel suo esercizio dall’ingombrante presenza militare austriaca), sollecitò con una sua circolare ogni comune a fornire le notizie sul proprio stemma, riportandone, foggia, storia e motivazioni della sua origine, ovvero segnalandone la mancanza. Una richiesta apparentemente futile, marginale forse, ma che un poco si spiega anche come una questione simbolica di riaffermazione di immagine e identità su base storica con radici tradizionali.

Perciò nel febbraio 1852 il Priore Pietro Rivani e il Segretario Leonardo Guidicini trasmisero a Bologna l’articolata strologazione con cui il Comune di Castenaso ufficializzò la tradizione per cui il suo sito sarebbe stato quello del leggendario accampamento Castrum Nasicae sorto dove il console romano Publio Cornelio Scipione Nasica avrebbe debellato i Galli Boi nel 190 a.C.

Il continuo modificarsi del corso dell’Idice, e l’aumento di portata delle acque per l’incanalamento in Idice de Savena, come prima ricordato, aveva portato, nella seconda meta’ del XIX secolo, alla impossibilita’ di utilizzo della vecchia chiusa del mulino di Castenaso.  Esemplari furono le piene del 1852 che secondo un documento notarile del 1856 “ruppero principalmente il centro della chiusa di cotto che attraversa l’intera sezione, ruppero del pari il boccaccio di presa del canale”.  Le piene, oltre a danneggiare la chiusa, interrarono il canale, rendendo inattivo il mulino.

Nel 1856 il conte Josef Joachim Gabrinski, possidente terriero, manifesto’ l’intenzione di ripristinare la chiusa ed il boccaccio utilizzando materiali di riutilizzo e legno.  In realta’ era necessario prelevare l’acqua piu’ a monte e costruire un canale che, riattivasse la chiusa vecchia e il mulino.  La chiusa nuova fu costruita tra il 1856 ed il 1883, ma fu utilizzata solo fino agli anni ‘20 del ‘900, durante i quali il mulino fu convertito ad alimentazione elettrica ed il canale con le rispettive chiuse, fu definitivamente abbandonato.

A Castenaso vi era poi un secondo Mulino a Villanova, di cui si disconosce la data di nascita e l’esatta collocazione ma che fu sicuramente assai piu’ tardo rispetto a quello di Castenaso. La sua collocazione era probabilmente sullo scolo Zenetta di Quarto, un canale che nasce in prossimita’ della Chiesa di Villanova e con direzione Nord attraversa, ora interrato, l’attuale abitato di Villanova, la zona industriale di Ca’ dell’Orbo, lo scalo merci di S. Donato, fino ad arrivare appunto a Quarto Inferiore.  Prosegue poi sempre verso Nord sul territorio di Granarolo riemergendo e lambendo Viadagola fino a confluire nel Savena abbandonato presso la SP 3 Traversale di pianura.

Mappa evoluzione dell’Idice nei secoli – PROGETTO DI RINATURALIZZAZIONE DEL TORRENTE IDICE. GEOLOG – 1996.  Definizione dell’ambito fluviale nel territorio del Comune di Castenaso – archivio Area Tecnica Comune di Castenaso.

In quegli anni si compiva poi l’unificazione al regno d’Italia. E così anche a Bologna il 12 giugno 1859, quella che fu più che altro una grande manifestazione di piazza, tolse le insegne papali da Palazzo d’Accursio per issarvi la bandiera tricolore. Il processo unitario si compì, non senza momenti di esitazione e di crisi, con la serie dei plebisciti, cioè delle votazioni a suffragio ristretto con cui fu approvata via via l’annessione delle nuove provincie al Regno di Sardegna, e con l’avventura, all’inizio non priva di aspetti inquietatamente “rivoluzionari” di Garibaldi e dei Mille, che abbatterono il Regno delle Due Sicilie.

A Bologna, come nella sua provincia e in tutte le “Provincie dell’Emilia”, il plebiscito per l’annessione al nuovo regno si tenne l’11-12 marzo 1860, e il risultato fu prevedibilmente schiacciante: non si hanno nell’Archivio storico del Comune di Castenaso dati scorporati per il suo territorio, ma basti dire che dei 76.500 voti espressi nella Provincia di Bologna, 76.276 furono favorevoli.

I “Piemontesi” portarono con sé in Italia, pur tra mille contraddizioni, le leggi che si erano saputi dare dal 1848 in poi, e che facevano del loro regno l’unico stato italiano che cercasse di stare al passo con i tempi. Lo Statuto Albertino era una costituzione tutt’altro che perfetta ma che già prevedeva in linea di principio l’uguaglianza dei cittadini
davanti alla legge, la garanzia della libertà individuale, l’inviolabilità del domicilio e della proprietà, la libertà di stampa e di adunanza senz’armi; la pratica dell’elezione democratica dei propri rappresentanti, sia pur ancora per lungo tempo con un suffragio censitario, ovvero limitato ai maschi di determinate condizioni economiche e di cultura.

Vi fu poi evidentemente uno sforzo di unificazione delle leggi, della moneta, delle misure; l’introduzione di uno strumento di organizzazione e di civiltà come quello dell’Anagrafe e dello Stato Civile, con cui anche a Castenaso il 4 gennaio 1866 fu registrata la prima nascita dell’epoca nuova.

Nel campo dell’istruzione e’ da ricordare che se in Lombardia nel 1859 circa il 70% dei bambini assolveva l’obbligo scolastico ben un terzo dei comuni era senza scuole. La legge in vigore poi applicata su tutto il territorio Italiano unificato prevedeva solo due anni d’obbligo scolastico con spese a carico dei comuni. Ancora nel 1864 nel regno delle Due Sicilie in caso di bisogno le classi potevano essere affidate a maestre analfabete!. E nel 1865 era assai diffuso l’uso costante del dialetto per incomprensione coi bambini ma forse piu’ per disconoscenza dell’italiano da parte degli insegnanti.

In ambito socio-politico e’ da ricordare come nello scorcio di fine Ottocento nel bolognese sorsero le prime cooperative di lavoratori e nacquero varie associazioni sindacali e politiche. Relativamente allo sviluppo economico-industriale si evidenzia il primo concreto progetto di collegamento tra Bologna e l’hinterland settentrionale che venne varato nel 1879 col progetto di una ferrovia.

Per la sub-concessione della costruzione e gestione della nuova ferrovia ci furono molti aspiranti, Il 3 ottobre 1882 fu accordata alla Società Veneta per Imprese e costruzioni pubbliche la concessione di una linea ferroviaria che collegasse Bologna a Budrio. Da questa cittadina si sarebbero poi diramati due tronchi: il primo si sarebbe diretto a EST verso Massalombarda, il secondo a NORD-EST verso Portomaggiore. In precedenza la Provincia di Bologna aveva firmato un compromesso di sub-concessione molto vantaggiosa con una società d’origine belga, la “Società Anonima dei Tramways e Ferrovie Economiche”, che però non si era presentata alla firma del contratto. La società “Veneta” fu concessionaria per un secolo, tanto che la ferrovia veniva comunemente chiamata “La Veneta”, nome che rimane ancora oggi nella cultura popolare, visto che, anche oggi che viene gestita dalle “Ferrovie Emilia Romagna”, è conosciuta come la Ex-Veneta.

Ottenuta la subconcessione, la “Veneta” propose alcune modifiche al progetto originario dell’ing. Minarelli, poi realizzate, tra cui la costruzione di una stazione autonoma a Bologna presso Porta San Vitale. I lavori ebbero inizio solo nel 1885 e si conclusero nel 1887. Il 21 Maggio 1887 venne aperta la tramvia Bologna-Budrio. Il 10 luglio 1887 è prolungata fino a Medicina e il 16 agosto successivo fino a Molinella. Il 4 dicembre è completata la diramazione verso Massalombarda, in provincia di Ravenna e il 21 dicembre quella verso Portomaggiore, in provincia di Ferrara.
Il 3 novembre (ottobre ?) 1888 verrà attivato il tronco urbano, esclusivamente merci, da porta Galliera a porta San Vitale, che consentirà il collegamento alla stazione centrale. Su questa breve tratta il servizio passeggeri inizierà solo nel 1985. Ulteriori raccordi lungo i viali di circonvallazione permettevano l’allacciamento alla tramvia per Imola e all’Arsenale militare. Il Laboratorio pirotecnico militare (o Arsenale militare d’artiglieria) nacque nel 1880 in una vasta area fuori dalle mura cittadine, tra Porta Castiglione e Porta San Mamolo (oggi zona ex-Staveco).

Le due linee della Veneta sono a scartamento normale e vennero costruite seguendo concetti tipicamente ferroviari, con curve di raggio non inferiore ai 350 metri e rotaie da 30 kg al metro. In città la stazione di partenza situata presso porta San Vitale, aveva annessi il Deposito, l’Officina e la Direzione d’esercizio. Venivano effettuate tre/quattro corse per viaggiatori giornaliere nei due sensi utilizzando un parco di otto locomotive a vapore impiegate anche per un discreto servizio merci. Le ultime tratte fino a Portomaggiore sorsero come infrastruttura di supporto alle aree bonificate da poco sul versante est e ovest di Portomaggiore.

Insieme alle ferrovie Ferrara – Ravenna, Ferrara – Copparo, Ostellato – Comacchio – Porto di Magnavacca, Ferrara – Argenta, Ferrara – Codigoro e la diramazione Budrio – Massalombarda della stessa linea per Portomaggiore, i collegamenti tra le Province di Bologna, Ferrara e Ravenna diventarono più veloci e diretti e permisero un intenso sviluppo dell’economia locale. Della rete ferroviaria e tramviaria, che negli anni ’80 del XIX secolo si sviluppò nel bolognese, la linea per Portomaggiore rappresenta l’opera più impegnativa sia per l’ampiezza della costruzione sia per l’impegno finanziario.

In quegli anni di fine ‘800 si creo’ un grande impulso industriale che vide il sorgere di numerosissime aziende nel Bolognese. Era stato sul finire del 1885 che in un podere delle campagne di Marano alcuni uomini, sotto la direzione del proprietario del fondo Settimio Baschieri, e del chimico Guido Pellagri avevano iniziato le prove per la fabbricazione di una nuova polvere da sparo per caccia che, a differenza di quella nera in uso all’epoca, non faceva fumo all’atto della deflagrazione.

Gli esperimenti avevano portato al debutto sul mercato italiano, nel 1886, della polvere Acapnia (dal greco, «senza fumo»). Nasceva così la Baschieri & Pellagri, una ditta specializzata nella produzione di polvere da sparo, che a lungo avrebbe rappresentato il principale punto di riferimento industriale del territorio castenasese. Operava in un settore solo apparentemente di nicchia – attualmente, ad esempio, incide per lo 0,5% sul prodotto interno lordo – che pero’ in quegli anni rappresentava un interessante campo di ricerca.

Naturalmente, dato che la polvere da sparo è un materiale esplosivo, la sua produzione aveva dei rischi. La B&P ha inizio con una baracca di legno in mezzo ad un campo del podere di via Frullo (allora) al n. 17. L’espansione della produzione provoca i primi inquinamenti dei circostanti maceri e la protesta dei contadini che pero’ non ottengono alcunche’ venendo la ditta sempre assolta dalle accuse.

Nonostante il successo, la ditta Baschieri & Pellagri ha avuto però una storia davvero tormentata, considerando tutti gli incidenti che si sono susseguiti nel corso degli anni. La prima esplosione avvenne gia’ il 7 dicembre 1891 e causò 4 morti e 3 feriti e l’edificio di fabbrica ando’ completamente distrutto. Con una grande gara di solidarieta’ tra i cacciatori si raccolsero fondi per riaprire l’azienda. All’inizio del secolo la produzione era di 40/50 q.li /anno di polvere mentre nel 1921 si arrivo’ a 1.500 q.li.

A Castenaso poi alla fine de’800 per merito di Giulio Serrazanetti vennero intrapresi miglioramenti alle chiuse e canali che portavano l’acqua al Mulino, con la realizzazione nel 1895 sull’Idice di uno sbarramento trasversale (diga) in gabbioni di rete metallica (burghe) all’altezza della chiusa nuova. Veniva anche avviata in paese un’officina, presso il fiume e vicino alla stazione ferroviaria, per la costruzione dei “gabbioni in rete metallica” (burghe) che fungevano da barriera per le acque.

[I progressi coinvolsero anche le strutture stradali. Venne realizzata in quegli anni di fine ‘800, (ma non si sa’ esattamente quando) la rettificazione con innalzamento della strada principale di Castenaso: la Strada maestra di S. Vitale, tra il ponte e via Frullo (ora vie Nasica e Tosarelli). Fino ad allora, percorrendola verso Bologna, subito dopo il ponte la strada piegava a sinistra scendendo (l’attuale Sentiero Idice) e dopo alcune decine di metri risaliva in corrispondenza del futuro palazzo comunale (costruito solo nel 1915), proseguendo, non rettilinea ma serpeggiante, fino alla curva di via Frullo. L’attuale percorso rettilineo ed in quota e’ il risultato di questi interventi. In una mappa del 1890/1901 si vedono entrambi i percorsi sovrapposti e la sagoma delle scuole Nasica edificate nel 1896, mentre un’altra mappa del 1892 presenta gia’ la strada rettificata. Nda]

E’ poi del 1889 prot. 127 l’atto di “costruzione della nuova strada della Pedagna” tra via Vigorso e l’Idice in riva sinistra del fiume.

In quell’epoca di sommovimenti sociali si colloca la nascita delle associazioni cooperative. Fino alla metà dell’Ottocento, i vari governi italiani, non avevano mai appoggiato particolarmente i progetti cooperativi ed anzi a volte emersero atteggiamenti perfino avversi. Le prime esperienze cooperative ebbero inizio con un decennio di ritardo rispetto all’Inghilterra (la prima vera cooperativa nacque nel 1844 a Rochdale, sobborgo di Manchester, in Inghilterra, per iniziativa di un gruppo di operai tessili), trovando sviluppo soprattutto nel nord, dove operavano le Società Operaie e le Società di Mutuo Soccorso.

Dopo la promulgazione dello Statuto Albertino, la Società degli Operai di Torino apre la prima cooperativa italiana, il Magazzino di Previdenza (1854), per arrestare gli effetti di una grave carestia agricola ed il conseguente rincaro dei prezzi. In emilia nel 1884 a Bologna nasce la “Società anonima cooperativa per la costruzione e il risanamento di case per gli operai in Bologna”, tuttora esistente con il nome di “Cooperativa Risanamento”. E nel 1893 nacque la Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue. Se la cooperazione in tutta l’Emilia-Romagna è stata «una parte fondamentale del riscatto dal basso delle classi povere» sia per il suo ruolo diretto che per quello indiretto di stimolo agli altri soggetti economici, a Castenaso l’avvio di esperienze cooperative appare più lento che altrove, ma altrettanto decisivo ai fini dello sviluppo del territorio. Dobbiamo attendere il nuovo secolo per avere la prima cooperativa a Castenaso.