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L’età Contemporanea (dal 1900 al 1919) – parte 2

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Oltre alla polveriera di Marano nel capoluogo, prima della guerra non esisteva che una limitata industria di conserve di pomodoro occupante alcuni corpi di fabbrica. Era la societa’ Umbro-emiliana. A quell’epoca (1915) il paese si era arricchito di nuove attività commerciali ed artigianali. Rispetto a 15 anni prima, l’Annuario generale d’Italia registrava, in più, la presenza di un calzolaio, di una ditta attiva nel settore cementizio e di una in quello dei laterizi, di tre botteghe di falegname, di un negozio di mobili in ferro, di due fabbri, della ditta di pompe irroratrici Zucchi, di un orologiaio, di un parrucchiere e di tredici negozianti in settori vari.

Oltre un quarto dei cittadini di Castenaso risultano analfabeti. Una condizione di arretratezza culturale che viene fortemente ridimensionata in seguito all’esperienza della guerra (che obbliga milioni di italiani a fare ricorso alla scrittura) e soprattutto alle azioni successive intraprese dal governo fascista con l’istituzione delle scuole rurali.

Pochi mesi dopo l’entrata in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale, la Baschieri & Pellagri fu dichiarata azienda ausiliaria e si concentrò nella produzione di fulmicotone destinato ai polverifici. In questa fase nell’impresa gli impianti furono rimodernati e molte fasi di lavoro vennero ulteriormente meccanizzate, con innovazioni di processo che consentivano di guadagnare in efficienza ed efficacia. La prima guerra mondiale mise a dura prova la comunità di Castenaso. Ancora prima dell’ingresso dell’Italia nel conflitto, il Comune compero’ 100 quintali di grano, per venderlo a prezzo di costo alla popolazione, ma ne furono acquistati dai cittadini soltanto 4,5 quintali, evidenziando la sostanziale autosufficienza locale nella produzione di derrate [o forse per incapacita’ di acquisto dei ceti meno abbienti ? Nda] e provocando anche un discreto passivo al Comune, che dovette rivenderlo ad un prezzo notevolmente ribassato.

Nella primavera del 1916 la Giunta fisso’ “il prezzo e la forma del pane» ed «i diversi prezzi delle farine del grano, del granturco e dello zucchero» da vendere al dettaglio. Nel giugno successivo venne posto un tetto massimo anche ai prezzi di vendita «del solfato di rame, dei perfosfati minerali, del solfato ammoniacale e del calciocianamide». Ben piu’ drammatica si rivelo’ la situazione dei beni di prima necessita’ nel difficile anno 1917. In febbraio il Comune pose un calmiere anche al prezzo al dettaglio di burro e formaggi, mentre in giugno chiese al Consorzio granario provinciale di Bologna la provvista di 200 quintali di granturco per alimentazione umana e 100 per quella animale. In luglio ricorse ad un mutuo con la Cassa di Risparmio di Bologna per acquistare 345 quintali al mese di solo grano, da distribuire alla popolazione che dal primo Agosto veniva sottoposta a razionamento mediante buoni di famiglia mensili.

Per aiutare le famiglie bisognose dei richiamati il Comune promosse all’inizio del conflitto il “comitato pro famiglie dei richiamati alle armi”, con il compito di promuovere l’istituzione di asili per i figli dei militari “per dar modo alle madri di potere dedicarsi ai lavori agricoli” e di un ufficio notizie formato da “volonterose Signorine», in collegamento con quello di Bologna, per confezionare indumenti di lana per i soldati ed anche di dare «assistenza morale» alle famiglie, con frequenti visite di «Signore e Signorine» alle mamme e alle spose dei combattenti. Naufragò invece la costituzione di una commissione che avrebbe dovuto stabilire i mezzi piu’ idonei “per provvedere a stabilire la deficienza della mano d’opera», per divergenze sorte fra «coloni e datori di lavoro».

Al Comitato per i richiamati (poi trasformatisi in Comitato di Azione Civile) il Comune concorse con un contributo una tantum di 2.000 lire nel 1915, ripetuto nel 1916; alle famiglie più bisognose dei richiamati (42 nell’ottobre del 1915) il Comune concesse anche l’esenzione dalla tassa di famiglia (o “focatico”) ed ai propri impiegati e salariati
un’indennità caro-viveri. Nel maggio 1917 la giunta individuò 12 famiglie di contadini presso le quali collocare, in cambio di un «congruo sussidio», orfani di guerra che non avevano parenti «disposti ad accoglierli, sorvegliarli ed educarli».

Di fronte alle crescenti esigenze finanziarie imposte dallo stato di guerra, il Comune fu costretto ad applicare per due volte (1916 e 1918) il contributo straordinario per l’assistenza civile introdotto dal governo. Furono inoltre rivisti i tributi locali, rendendo più equo (con il ritocco di tabelle che risalivano in qualche caso ad una decina d’anni prima) il prelievo sulle tasse di focatico, esercizio e rivendita, bestiame, vetture e domestici.

Una particolare attenzione fu riservata al tema della celebrazione della guerra e alla memoria dei caduti. Gia’ il 27 settembre del 1915 il Consiglio comunale decise che a guerra finita una lapide avrebbe ricordato i “prodi” di Castenaso “caduti per la grandezza e l’onore della Patria». A quella data i morti erano già tre, ma la loro lista si allungo’ presto.

Ciononostante durante la guerra si registrarono alcuni importanti progressi nell’istruzione. Il 15 ottobre 1916, grazie ad un consistente lascito della famiglia Gallassi, poté essere inaugurato un nuovo asilo infantile, mentre nel 1918 il Comune istituì nel capoluogo anche la quinta e la sesta classe miste elementari, utilizzando parte della spesa del contributo per le scuole serali, non più esistenti. L’edificio delle scuole era in localita’ Stellina nel fabbricato a Sud della strada principale (verso la ferrovia). Questo grande edificio (poi abbattuto per gli eventi bellici) era adibito sia ad abitazioni che in alcuni locali a scuola.

La guerra aumentò la pressione sulle risorse del territorio, per il rientro dei castenasesi emigrati a causa della chiusura delle frontiere, per l’arrivo di profughi e per la presenza di soldati accasermati. Infatti all’indomani della disastrosa disfatta di Caporetto l’esercito requisì diversi locali per adibirli a caserme e a base operativa, oltre a quelle gia’ esistenti, e la cosa ebbe il suo peso, perché “in verità il paese (possiamo azzardarne la definizione?) era in tutto quattro case ed una chiesa lontana, isolata, con annesso cimitero”.

La guerra portò con sé oltre a un forte aumento di prezzi per i generi di prima necessità, con grande svalutazione della lira che dal 1915 al 1918 perde il 60% di valore arrivando a perderne il 75% nel 1921, il timore della disoccupazione per molti operai e giornalieri, dato che molte industrie dovettero diminuire o fermare la loro produzione a causa delle diverse necessità nazionali. Prosperarono invece le industrie belliche, in particolare il polverificio Baschieri e Pellagri di Marano, che ovviamente poté ampliare la propria produzione.

Scoppiata la guerra il governo requisi’ poi i locali della fabbrica di conserve ampliandoli molto, impiantandovi una officina del Genio Militare per riparazione di materiale ferroviario, costruzione di barche in lamiera per il Genio Pontieri, e lavorazioni varie arrivando ad occupare fino a 500 operai. Vennero eretti nuovi corpi di fabbrica, una teleferica di 80 metri sul fiume Idice, innalzate antenne di una stazione radiotelegrafica, impiantata una “decauville” (Ferrovia a piccolo scartamento costruita con materiale leggero e di rapido montaggio e smontaggio, usata per i trasporti nelle miniere e nei cantieri) per collegare i vari depositi di materiale. Le officine del Genio a Castenaso erano raccordate alla SV (Stazione Veneta). Ma duro’ pochissimo, tra il 1916 e il 1918. A Castenaso fu tra l’altro creato, da Marcello Serrazanetti, un importante allevamento di cani per l’esercito italiano.

62 cittadini su 103 coscritti perirono per cause di guerra. Di questi, 6 furono decorati e 34 lasciarono orfani. A loro il comune di Castenaso dedicò una targa commemorativa. Il dopoguerra, segnato da fenomeni di inflazione e disoccupazione, si aprì in tutta l’Emilia-Romagna in un clima di forte contrapposizione politica e sociale. Frequenti furono gli episodi di violenza. Le agitazioni popolari per il miglioramento delle condizioni di lavoro e contro il caro viveri provocarono in tutto il territorio regionale la decisa reazione degli agrari, che si organizzarono sostenendo il nascente movimento fascista.

Il 15-06-1919 durante una manifestazione in cui i contadini chiedevano di requisire le terre incolte come da promessa assunta durante la guerra, un ufficiale “ritenutosi offeso dai dimostranti” esplose in loro direzione alcuni colpi di pistola colpendo Gertrude Grassi una contadina della localita’ Le Grazie di Madonna di Castenaso la quale spiro’ in ospedale cinque giorni dopo. Fu la prima caduta femminile in Emilia-Romagna dell’odio antipopolare che ebbe il culmine successivamente con le violenze delle “camice nere”.

Il 2 dicembre 1919 la guida del comune venne affidata ad un commissario prefettizio, Federico Mathieu, che rimase in carica undici mesi, con risultati poco brillanti, per sua stessa ammissione. Fu vano infatti ogni suo sforzo di mettere mano ad «importanti problemi, quali la illuminazione pubblica, l’acquedotto, il macello ed il pubblico lavatoio», opere «assolutamente indispensabili per evidenti ragioni di utilità ed incolumità pubblica», a causa specialmente «delle difficolta’ finanziarie” non riuscendo l’amministrazione commissariata ad avere accesso ad una qualunque forma di credito.

Alla fine della prima guerra Mondiale altre cooperative si aggiunsero alle attivita’ produttive: Cooperativa proletaria di consumo – 1919; Cooperativa macchine agricole in Castenaso – 1920 e Cooperativa operai officine – 1919, emanazione dell’attivita’ delle ex officine del Genio Militare. La Cooperativa agricola “L’eguaglianza”- 1919, anche se figura negli archivi comunali un carteggio con statuto, non figura in nessun elenco delle cooperative createsi negli anni, ne’ nel 1919 ne’ negli anni precedenti e/o successivi. [Vedi Repertorio Topografico e Cronologico provincia di Bologna archivio Legacoop. nda]

La Cooperativa proletaria di consumo venne invece legalmente costituita il 12 agosto 1919 da 11 soci, tra i quali figuravano alcuni tra i piu’ attivi socialisti: Raffaele Bassi (nominato presidente), Abele Vizzani, Luigi Roncarati, Pietro Tosarelli ed Emilio Avon. Scopo del sodalizio era quello di «giovare all’economia domestica mediante l’esercizio di una azienda la quale provveda, più direttamente possibile, commestibili, combustibili, ed altri generi di comune consumo e li distribuisca ai consumatori», che potevano essere soci ma anche non soci. Il sodalizio era nato per svolgere inoltre un’importante funzione di calmieramento, dal momento che le merci erano distribuite «al più mite prezzo corrente» e che «in casi straordinari” avevano «facoltà di ribassare i prezzi di distribuzione sotto i prezzi correnti, sino al prezzo di costo aumentato di una equa percentuale per le spese generali». Lo spaccio aveva sede in via San Vitale 52, ora via Tosarelli 33 – 45 ca.

La Cooperativa macchine agricole, diretta da Luigi Roncarati, si pose invece l’obiettivo di spezzare il monopolio padronale del settore. Con una sottoscrizione pubblica nel 1920 acquistò quattro coppie di trebbiatrici. Il primo maggio 1920 arrivarono le quattro coppie di trebbiatrici acquistate con sottoscrizione dei cittadini, accolte dagli applausi di tutto il paese e con la banda a suonare l’internazionale sulla prima coppia di trebbie.

L’esperienza piu’ rilevante, la cui eco travalico’ i confini provinciali, fu tuttavia quella che sorse sulle ceneri delle ex Officine militari. Al termine della guerra il governo liquido’ le officine del Genio, che furono oggetto di un tentativo di acquisto da parte di un gruppo industriale formato anche dagli ufficiali che avevano stilato, con valori al ribasso, l’inventario dei beni. Il contratto col governo prevedeva un accordo tra il gruppo e gli operai, accordo che pero’ svantaggiava le maestranze. La vertenza tra gli operai in cooperativa e il gruppo di industriali che voleva acquisirle dallo stato vide blocchi stradali e cariche di cavalleria per sedare gli animi dei lavoratori. Con le rimostranze degli operai di cui la maggior parte dei quali sarebbe stata licenziata si arrivo’ alla rescissione il 22 agosto 1919 dell’accordo tra gruppo industriale ed
operai.

Il 29-11-1919 veniva costituita tra gli stessi operai la “Cooperativa operai Officine Castenaso” (poi Cooperativa di lavoro fra gli operai delle officine di Castenaso – 1920 ), che stringeva col Consorzio Metallurgico di Genova un accordo per il finanziamento. La diatriba col gruppo precedente continuo’ e si arrivo’ solo al 25 febbraio 1920 alla risoluzione definitiva del contratto col governo. Il 5 marzo il Genio Militare riprendeva il controllo delle officine per poi passarle al Consorzio Metallurgico che strinse con la cooperativa un accordo di gestione. Si riprendeva quindi la produzione. Le officine allora impiegavano 300 operai, erano sfornite di energia elettrica. Era previsto che la produzione vertesse principalmente sulla costruzione e riparazione di macchine agricole e mobilio. Anche se gli operai non diedero concreti segnali di voler mettere in discussione i diritti di proprietà o di voler sconvolgere le leggi del libero mercato, il timore che si trattasse di un primo passo verso la dittatura del proletariato fu elevato nella borghesia bolognese. Il consorzio metallurgico di Genova era controllato dallo stato ed impose progetti ambiziosi alla neonata cooperativa che fu costretta a chiudere di li’ a breve. Nel novembre del 1920 i dipendenti delle officine si erano infatti ormai ridotti a 80 e per far fronte ai creditori la nuova direzione fu costretta a vendere ed impegnare al Monte di pietà gran parte delle scorte e dei macchinari. Fu questa l’unica cooperativa a chiudere prima delle soppressioni fasciste successive.

A titolo di cronaca si cita che a Castenaso dal 1918 al ‘23 l’affittuario agricolo pagava 18 scudi per tornatura che salirono a 28 fino al 1926 ed addirittura 50 dal 1926 al 1929 e 80 dopo il 1929. Ma nel 1929 con la famosa crisi economica il grano passo’ da 90 a 60 lire al quintale e la canapa da 10 a due lire il chilo, mentre i bovini perdettero ii 2/3 del loro valore. Cio’ provoco’ a miseria piu’ nera per molte famiglie. Ma gia’ nel 1920 mezzadri fittavoli e braccianti agricoli si unirono per chiedere nuovi “patti colonici” a cui i proprietari terrieri si opposero fermamente ne scaturi’ un lunghissimo sciopero agricolo che duro’ ben 10 mesi e quell’anno nel bolognese non si trebbio’ e non si vendemmio’ completamente. Solo la meta’ del fieno venne tagliato e la meta’ grano trebbiato cosi’ come solo meta’ dell’uva venne vendemmiata. Rimanevano sui campi le meta’ di spettanza dei proprietari latifondisti. Solo ad Agosto dopo la firma dell’accordo Paglia-Calda si esegui’ la trebbiatura totale del grano.

Queste forme di lotta erano coordinate dal Comitato di Agitazione Contadina che disponeva anche il boicottaggio di chi si dissociava dalle sue direttive. Accadde cosi’ che un bottegaio del capoluogo venne boicottato e nessuno ando’ piu’ a fare acquisti da lui dato che vendeva vivande ai crumiri assoldati dalla B&P che voleva stroncare la lotta degli operai che chiedevano un maggior salario. Il bottegaio dovette chiudere e lo spaccio venne acquistato dalla Coop di Consumo.

Il tutto ebbe termine il 25 ottobre con la capitolazione dei proprietari terrieri che firmarono un accordo migliorativo delle condizioni dei rapporti colonici: il trattato “Paglia-Calda”, che attestava la posizione di forza conseguita dalla Federterra, era considerato uno fra i più avanzati dell’Italia mezzadrile dell’epoca. Il concordato Paglia-Calda, dai nomi di Calisto Paglia, presidente degli agrari, e Alberto Calda, legale della Federterra prevedeva un riparto favorevole ai mezzadri (60-65%) e migliori tariffe per i braccianti. L’istituto mezzadrile risulta radicalmente modificato: il rapporto del colono con la proprietà “è stabilito su una linea di parità” (Dondi). Vengono fissati alcuni doveri degli imprenditori agricoli, quali la fornitura dell’abitazione alla famiglia mezzadrile, la fornitura dell’acqua potabile e degli attrezzi, l’anticipo di somme per le sementi, i trasporti, la manodopera aggiuntiva. La grande maggioranza dei proprietari terrieri giudica l’accordo distruttivo dell’istituto mezzadrile. Il governo è accusato di favorire i socialisti. Il concordato quindi venne disatteso, nei fatti, dai proprietari terrieri.

Negli stessi anni, su iniziativa del parroco Don Pieralli, si formo’ la banda di Castenaso con all’inizio una ventina di elementi saliti poi a una quarantina. La banda si sciolse nel 1928 anche se poi un gruppo continuo’ per vari anni, fino al 4 novembre 1933, quando avvenne da parte fascista lo scioglimento definitivo.

A dicembre del ‘20 torno’ alla ribalta nuovamente il polverificio Baschieri & Pellagri in quanto a seguito della diminuita produzione licenzio’ parte degli operai, chiudendo lo stabilimento anche per un certo periodo. L’attivita’ venne ripresa il 14 marzo 1921 .Gli operai chiedevano inoltre l’aumento dei salari ma l’azienda assicuro’ che li avrebbe aumentati solo agli operai rimasti se non si sarebbero fatti rappresentare dai sindacati. Il 5 Gennaio alla riapertura del polverificio venne proclamato uno sciopero. La proprieta’ annuncio’ quindi che avrebbe licenziato tutti e assunto “solo” operai attraverso l’organizzazione sindacale fascista. Si sviluppo’ una lunga trattativa mediata dal prefetto di Bologna. Gli operai tornarono in fabbrica ma venne pubblicato sul “Carlino” un documento che suonava di condanna all’operato dei sindacati.