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Il basso Medioevo (dal 1000 al 1492)

Il Basso Medioevo

La prima menzione di Castenaso si ha in un documento del 1054 “ actum in castro Castenacj” e tratta di un’enfiteusi di 40 tornature.  La menzione di castrum definisce, come abbiamo visto, non tanto un castello o fortilizio vero e proprio ma piuttosto probabilmente, come avveniva all’epoca, un agglomerato di case in qualche modo difeso da una qualche struttura e/o argine-canale naturale ovvero una suddivisione amministrativa.

Anche le varie frazioni vengono citate in alcuni documenti negli stessi anni.  Marano e’ citato nel 1105 su di un contratto enfiteutico per aree coltivabili poste “infra plebem de sancti jeminiani que vocatur de Marano”, deducendosene che la pieve sia appunto antecedente a tale data.  Infatti il parroco di Marano Don Antonio Mezzacqui (1928-2002) ricordava altresi’ di avere nota di un documento (purtroppo non piu’ rintracciato) del 953 o 983 in cui viene nominata la Pieve di S. Geminiano.

Sembra quindi che la prima chiesa dedicata a San Geminiano sorse in un luogo diverso rispetto a quello attuale (tracce di fondamenta piu’ antiche sono state ritrovate sotto l’oratorio della B.V della Neve a Villa Capriata).  Questo antico edificio pare venne fondato dai modenesi che si stabilirono a Marano i quali, oltre a costruire le loro dimore e un castello, decisero di innalzare una chiesa al loro Patrono. Dopo la fondazione, il castello e la chiesa vennero distrutti da un incendio in data ignota e la nuova chiesa venne riedificata ove trovasi ora.

Veduro viene ricordato in una donazione del 1143, mentre Villanova viene citata in un contratto (enfiteusi ?) per appezzamento di terra con vigna del 1033: “transfluvio Gena (Zena) in fundo et loco qui dicitur Villanova.”, mentre la chiesa viene citata per la prima volta solo nel 1141 in un documento relativo ad un terreno: “prope Ecclesiam Sancti Ambroxij de Villanova”.

Fiesso viene citato per le prima volta il 27 febbraio 1078 in “actum in Flessensis castro” riguardo la vendita di un appezzamento agrario “pecia una terra aratoria”.  Da notare anche qui come le case di Fiesso fossero raggruppate in un Castrum (vedi sopra).

Da notare che presso i Romani l’Idice era noto come Idex flumen ed è riportato anche nella Tabula Peutingeriana (carta del XII secolo che ricopiava un antico itinerario romano del IV secolo.  Tavola che in queste zone riporta e cita solo l’Idice e a est il Sillaro, ad evidenza di come questo fiume a quei tempi avesse una certa rilevanza.

Nel XII secolo il comune di Bologna aumenta la sua penetrazione nel contado sia per scopi difensivi verso il confine con la Romagna (sorgeranno Castel S. Pietro – 1199 e Castel S. Paolo – 1212, sito tra Medicina e Castelguelfo, ora scomparso) ma vennero ripopolati borghi, aperte strade, costruiti ponti, arginati scoli e canali.

All’inizio del 1200 il castello di Fiesso era del Vescovo di Bologna passando dopo l’intervento dell’imperatore Federico II, nel 1233, sotto l’egida del comune di Bologna.  Dopo questa data del castello non vi e’ piu’ traccia, mentre quello di Castenaso sopravvisse nel basso Medioevo.

Come termine di paragone e per capire la consistenza della popolazione a meta’ del 1200 a Castenaso vivevano 48 famiglie, a Fiesso ben 80, a Marano 34, a Veduro 5, a Villanova 15.  Solo cinquant’anni dopo i numeri erano: 98, 89, 135 (Marano e Veduro), 24.

Il ponte sull’Idice era in effetti probabilmente il “passo di Fiesso” (cosi’ certamente nominato dal 1600 al 1800) dato che qui si giungeva da Bologna per, appunto, arrivare a Fiesso.  Dal lato di Budrio era il “passo di Cento”, borgata d’origine della strada che poi arrivava a Budrio.

Questo ponte era importante in quanto nella parte orientale di Bologna e verso Nord metteva in comunicazione la citta’ con Budrio e Dugliolo ed il suo porto fluviale e poi col porto di Cavagli posto tra Molinella ed Argenta a sud delle valli di Marmorta e quindi col ferrarese.  Mentre verso est portava verso Medicina e la Romagna.

E’ del 1250 lo statuto “ De flumine Ydicis fodiendo” dove si dispone di scavare il letto del fiume, che proseguendo verso nord passava ad Ovest di Molinella (Podij), e di deviarne il corso (verso est) fino a “bocca de reno” (presso Traghetto: nda) costruendo poi argini di contenimento con lavori da effettuarsi prima delle piene autunnali.  Fino ad allora il fiume finiva il proprio corso nelle valli di Marrara (e’ poi solo dell’inizio del 1800 la deviazione verso est e le valli di Campotto dell’attuale alveo).

Qui veniva disposta anche la ricopertura in tegole del ponte di Castenaso che doveva essere rifatta da coloro che la utilizzavano, cittadini di: Castenaso, Fiesso, Cento, Budrio, S. Martino in Argine, Medicina, del Galisano (Fossatone).  Il ponte purtroppo per le rovinose piene dell’Idice dovette essere rifatto piu’ volte cosi’ come avvenne poco dopo nel 1277.

Vari statuti sempre del 1250 dispongono che vengano costruiti “penaculus” (protezione degli argini fluviali realizzata con pali, graticci e fascine) a difesa delle esondazioni e che a nord di Castenaso (Casteansio inferius) la strada d’inverno e’ cosi’ pericolosa per le erosioni del fiume che “multi boves et currusiam in dicto flumine decidere” (molti buoi e carri cadono nel fiume).

Ecco che quindi si decide di rettificare la strada che seguiva le anse del fiume.  Vengono, sempre in quegli anni, edificati vari ponti su fiumi e scoli a Villanova, Castenaso, Fiesso, Marano, Veduro, Vigorso, Budrio, verso Medicina e verso Vedrana e San Martino. E poi ancora due ponti per la strada che va da Marano a Fiesso e l’altro per la strada che va da Vigorso a Trecentola (Casumaro) al confine tra il Modenese il Ferrarese ed il Bolognese.  E sempre nel 1250 altri 4 ponti saranno costruito sulla Gaiana, sulla Quaderna, sul rio Centonara, e sulla palude presso Prunaro, perche’ Bologna possa essere rifornita attraverso la strada di Castenaso: “lignis et blado et aliis que veniut a terra Medicinae”.

In quegli anni poi viene disposto che vengano costruite nella campagna case di mattoni al posto di quelle in paglia e fango.  Pertanto viene disposta la costruzione di fornaci per la fabbricazione di mattoni.  Nel nostro caso dato che la fornace di Marano non lavora viene disposto che ne venga creata una “in trivio vie que vadit ad Flexum” presso lo scolo fiumicello per le case di Marano mentre Fiesso stesso dovra’ rivolgersi alle fornaci di Budrio.

In quei secolo sorsero anche due monasteri uno Camaldolese a Villanova e l’altro Cistercense a Castenaso.  Il monastero di Villanova ebbe origine da una donazione del 1196, e vi fu eretta anche una chiesetta detta di S. Maria di Billieme (Betlemme).   Oggi questi edifici sono scomparsi ma vari autori li collocano nelle vicinanze del quadrivio tra le vie Tosarelli (SP 253) – Villanova, l’uno e Truffa – Bovi l’altro.   Si precisa che il toponimo Truffa non deriva da storie e luoghi truffaldini bensi’ e’ da assegnare al nome della famiglia che qui vi abitava (Truffa o Truffi) cosi’ come anche l’ attuale via Bovi prende il nome di una famiglia gia’ dimorante in loco.

Dell’altro monastero non e’ dato sapere molto se non che gia’ nel 1205 il papa Innocenzo III se ne occupo’ dato che terribili voci circolavano per le attivita’ di quel monastero promiscuo tra frati e suore, fatto sta che dopo l’inchiesta papale del monastero non si sapra’ piu’ nulla.

E’ da rilevare pero’ che alcuni autori fanno coincidere il monastero cistercense con quello di S. Caterina di Quarto (in comune di Bologna per pochi metri), fondato nel 1200 da frate Alberto, rettore della chiesa di S. Giovanni B. di Castenaso.  In effetti non era pero’ un convento Cistercense ma una congregazione autonoma ottenendo nel 1205 l’autorizzazione a costruire appunto la chiesa di S. Caterina.  Divenuto monastero solo femminile nel 1298 divenne monastero agostiniano e nel 1291 le monache si trasferirono nella chiesa di S. Maria Maddalena in S. Donato.  Un nuovo tentativo di occupare monasticamente la chiesa di quarto avvenne tra il 1322 ed il 1365, ma le continue guerre
costrinsero poi le monache a ritirarsi definitivamente a Bologna.

Nel corso del XIV secolo quindi la vita monastica a Castenaso era scomparsa e come in tutti i tempi di crisi, i fedeli scarseggiavano, si perdeva l’anelito spirituale, i luoghi sacri si spopolavano e i denari erano dirottati ad altre incombenze.

Dalla meta’ del duecento assistiamo alla presenza in Bologna di varie famiglie benestanti provenienti dal territorio di Castenaso soprattutto da Marano e Fiesso, quest’ultimi dimoranti soprattutto nella zona di Porta S. Procolo (incrocio Irnerio/D’Azeglio).  Di converso appaiono sul territorio di Castenaso i possedimenti di nobili famiglie Bolognesi: Guidotti, Marsili, Prendiparte, Gozzadini, Denari.

L’agricoltura praticata con nuovi metodi prende vigore e vengono coltivate nuove specie.
Nel XIII secolo nei comuni del contado si hanno le podesterie.  Se si hanno oltre 50 “fumanti” (nuclei familiari alloggiati nella stessa abitazione) il podesta’ e’ eletto dal Consiglio di Bologna se tra 20 e 50 “fumanti” e’ eletto localmente.  Nei vari statuti vengono citate tutte le frazioni principali di Castenaso (tranne Madonna) ed il Capoluogo.

All’epoca della Descriptio civitatis Bononie eiusque comitatus del 1371 fatta compilare per interessi fiscali e politico-militari dal legato pontificio Anglico Grimoard de Grisac il comune terre de Flexi aveva 25 “focularia”, il comune terre de Marani 66, il comune terre de Villenove 21 e il comune terre de Castenaxii 45.

In questi tempi le vicende del contado seguono quelle di Bologna che vede lotte fratricide e tentativi di governo papale poi fallito e di governo autonomo (fam. Pepoli), fino all’assoggettamento alla signoria dei Visconti (1349).

Nella prima meta’ del trecento le condizioni del contado sono tragiche con soldatesche che scorrazzano liberamente, carestie terribili (1315 e 1347), pestilenze (peste nera del 1348).  A cio’ si aggiunge che il Conte di Romagna Astorgio (Astorre) di Durfort (il cui vero nome era Hector de Durlort), nominato dal Papa Clemente VI, nel 1349, allo scopo di assoggettare alla Chiesa i signori di Romagna, soprattutto i Pepoli di Bologna, i Manfredi di Faenza, gli Ordelaffi di Forlì, che si erano ormai resi quasi del tutto indipendenti, attacca prima Faenza poi Bologna. Non avendo forze sufficienti e non giungendo ulteriore denaro da Avignone (sede papale) desistette all’assedio della citta’ e le sue forze si sfrenarono in saccheggi e rapine nelle campagne.  Nel Novembre 1350 il 26, entrarono in Budrio devastandolo ed appropriandosi di beni anche delle famiglie scomparse a seguito della peste degli anni precedenti.  E’ quindi plausibile ed assai certo che in queste scorribande questa soldataglia abbia devastato anche Castenaso e Fiesso che sono sulla strada per Budrio.

Alla fine del 1351 con un accordo tra pontefice ed i Visconti, signori di Milano, venne nominato vicario di Bologna Giovanni Visconti da Oleggio chiudendo cosi’ il governo dei Pepoli sulla citta’.  I Visconti poi nel 1352 riorganizzarono amministrativamente il territorio del Districtus Bononiensis dividendolo in sette vicariati.  I centri minori tra cui Castenaso, Marano, Veduro, Villanova, Fiesso distanti meno di 5 miglia dalla citta’ rimasero aggregati ai quattro quartieri di Bologna: il territorio di Castenaso dipende dal quartiere di Porta Ravegnana insieme a Fiesso, mentre Villanova, Marano e Veduro dipendono dal quartiere di Porta San Cassiano divenuta poi porta di San Pietro (in quanto trovavasi appunto presso l’omonima cattedrale) o Porta Piera.

Giovanni Visconti da Oleggio nel 1355 si fece riconoscere Signore di Bologna.  Fu dapprima avversario del potere papale ma poi si avvicino’ a questo e divenne protetto del Cardinale De Albornoz a cui nel 1360 cedette Bologna.
In quell’anno il castello di Castenaso venne preso dai Bolognesi e fortificato, ma vi si accampo’ Bernabo’ Visconti che contendeva Bologna al Cardinale de Albornoz.  Cacciati i Visconti con la Battaglia di S. Ruffillo il castello perse di importanza e nel 1448 venne gravemente danneggiato da una tempesta. Di esso non si senti’ piu’ parlare.

Dopo la caduta dei Visconti ed il subentro del potere papale con la riorganizzazione territoriale Fiesso venne assegnato al Vicarito di Budrio.  Dal punto di vista ecclesiastico la chiesa di Fiesso dipendeva dalla pieve di Budrio dei santi Gervasio e Protasio, che aveva giurisdizione anche sulla chiesa ed ospedale di S.Cristoforo di Castenaso.

L’ospedale di S. Cristoforo “de Castenase” probabilmente sorgeva presso il ponte sull’Idice anche in funzione dell’intitolazione al santo protettore dei ponti e traghettatore.   Infatti nell’elenco delle decime della diocesi bolognese dei secoli XIII e XIV troviamo le “ecclesie S. Marie, S. Cristofori e S. Johannis de Castenaxio e l’ospitalis S. Cristofori de Castenaxio”.

La parrocchia di S. Giovanni Battista e la chiesa di S. Maria (Madonna), cosi’ come la parrocchia di Veduro erano sotto la pieve di S. Geminiano di Marano.  Nel medioevo le pievi erano le chiese che mantenevano le fonti battesimali, detenevano i diritti di sepoltura e riunivano vari sacerdoti, che poi celebravano messa nelle altre chiese del circondario.  I canonici erano quei preti che vivevano in comunita’ nella pieve, in poverta’, castita’ e obbedienza all’arciprete.

E’ della fine del XIV secolo la prima documentazione dell’esistenza di un mulino a Castenaso (mulino sicuramente antecedente e tale data) quando GUIDOTTI, Filippo, mercante e banchiere, fra il dicembre 1382 e il marzo 1385 acquistò a Castenaso, con successivi atti, dai figli di Giovanni Pepoli una grande estensione di terre e diverse case e da Bartolomeo Monari (Antica e nobile famiglia, originaria di Bologna.  Tale cognominizzazione, anteriore al XIV secolo, dovrebbe derivare da soprannomi dialettali, attribuiti a capostipiti che facessero di mestiere i mugnai, soprannomi originati dalla contrazione del termine latino molinarius: colui che lavora in un mulino) altri edifici, diritti e attrezzature per un mulino da ricostruire presso il ponte sul fiume Idice.  La denuncia d’estimo, presentata dal Guidotti nell’autunno 1385, dava del suo patrimonio immobiliare una valutazione di quasi 11.000 lire, collocandolo tra i cittadini più ricchi.

Anche nel secolo successivo la famiglia mantenne il possesso di terreni e del mulino a Castenaso se e’ vero che nel marzo 1424 terminò la comunione ereditaria tra i discendenti di Filippo, i nipoti Opizzo e Giovanni si videro assegnati beni per un valore di 2750 lire, comprendenti la quarta parte indivisa del palazzo di famiglia, crediti sul Monte delle moliture, l’impianto e i diritti per un mulino da ricostruire, un’osteria e altri immobili a Castenaso, nonché terre per quasi 80 ettari.

Il 5 agosto 1430 Opizzo morì a Budrio e l’intera eredità paterna si consolidava così a favore del solo Giovanni e nel quadro complessivo ed estremamente articolato delle sue attività spiccano gli acquisti di terreni, servitù attive e privilegi a favore del mulino di Castenaso e la convenzione stipulata nell’aprile 1454 con Aristotele Fioravanti, architetto del comune di Bologna, e altri per rimetterlo in piena efficienza.